Il restauro di Miozzi e Barbantini
Richiamandosi ad un Settecento immaginario, il Teatro nuovamente restaurato dal Meduna si riallacciava al mito di un tempo felice ed irrimediabilmente passato, quando ancora Venezia poteva essere annoverata tra le capitali dell’arte e della cultura. Così, allo spettatore che vi entrava, la ricca sala del Teatro poteva dare per un momento l’illusione di rivivere quel passato glorioso e magnifico, facendolo evadere dalla realtà di profonda crisi e declino che la città invece drammaticamente viveva. Ed il Teatro che venne inaugurato nel dicembre 1854 era praticamente lo stesso andato perduto nel corso dell’ultimo recente incendio.
Rimane solo da registrare qualche significativo intervento di Lodovico Cadorin fra il 1854 ed il 1859 negli ambienti del piano nobile e negli stucchi dello scalone di accesso alle sale apollinee, le cui tracce ad ogni modo furono disperse dal restauro del 1937.
Un altro intervento avvenne poco dopo l’aggregazione di Venezia al Regno d’Italia, quando si volle celebrare con spirito risorgimentale, per quanto in ritardo, il sesto centenario della nascita di Dante affrescando le pareti di un ambiente della Fenice con sei episodi della Commedia e dipingendo nel soffitto una composizione allegorica con il busto del poeta incoronato dall’Italia. Lavoro, questo, attribuito a Giacomo Casa e destinato ad essere ricoperto nel 1976 da dipinti di Virgilio Guidi.
Quando nel 1937 si costituì l’Ente Autonomo, si decise un rinnovamento generale dell’edificio, accogliendo il progetto dell’ingegner Eugenio Miozzi per la parte architettonica, e di Nino Barbantini per quella decorativa.
Si ampliò così l’atrio terreno riproponendo la struttura architettonica del Selva. Furono anche eliminati gli affreschi di alcune sale superiori che vennero ornate con fasce a stucco di stile neoclassico, collocandovi mobili di stile Impero.
Nel corso dell’intervento del ’37, la sala teatrale fu toccata solo negli accessi alla platea, che vennero sostituiti da una grande porta sotto la loggia reale allora adornata con un grande stemma sabaudo.
Proclamata la repubblica, lo stemma monarchico sparì per lasciare il posto al leone marciano.
adattamento da
Manlio Brusatin, Giuseppe Pavanello, Il Teatro La Fenice, Venezia, Albrizzi 1987, p. 125-135